Tuesday, December 30, 2014

LE POESIE IN ITALIANO DI ANASTASIO CUSCHIERI - un saggio di GERALD BUGEJA

La recente pubblicazione dell’intera raccolta di poesie in maltese e in italiano di Anastasio Cuschieri da parte di Charlò Camilleri e Toni Cortis[1] ha colmato una lacuna nella cultura letteraria maltese, dato che egli non solo non s’era mai adoperato a raccoglierle ma anche aveva l’abitudine di firmare le poesie, anche quelle in italiano, con iniziali e nom de plume diversi, e a volte senza neanche questi[2]; il che spiega la scarsa attenzione rivolta nel passato alla sua opera da parte degli studiosi, paurosi di percorrere terreno minato; ciononostante  non sono mancati studi validi che erano ostacolati purtroppo dallo spinoso problema delle attribuzioni[3]. Ora, grazie all’acribia dei due curatori della succitata pubblicazione risulta spianato questo problema per cui si può apprezzare meglio, e valutare in modo più obiettivo, la sua opera poetica.

 Cuschieri, frate carmelitano, filosofo e poeta, era ritenuto a Malta nei primi decenni del Novecento il decano dei poeti, dei filosofi e oratori locali. Pubblicava spesso le sue opere nella rivista  «Il Monte Carmelo» a Roma, nella «Rivista di filosofia neoscolastica» a Milano[4],  in  «Malta letteraria»[5], rivista prestigiosa pubblicata nell’isola, nonché studi agiografici in altre riviste[6]. Nato nel 1876 alla Valletta, Cuschieri sentì sin da piccolo la vocazione religiosa: infatti all’età di quindici anni, nel 1891, entrò nell’Ordine Carmelitano. Dopo la laurea, proseguì gli studi filosofici a Roma all’Università Pontificia Tommaso d’Aquino e quelli teologici in quella Gregoriana. Dopo il dottorato, gli fu conferita la cattedra di filosofia all’Università di Malta. A lui venivano commissionati  panegirici[7], orazioni universitarie[8] e discorsi importanti in occasioni speciali[9], tutti tenuti in italiano, essendo allora l’italiano la lingua culturale. Egli era non solo un bravo oratore e pio religioso (è noto come il poeta della Madonna, dato che sono tante le poesie dedicate alla Vergine), ma anche una persona stimata all’interno del suo Ordine (fu eletto due volte provinciale della regione maltese della comunità carmelitana), oltre ad essere impegnata sul fronte civile: fu eletto due volte senatore negli anni venti; visse il trauma dell’anglicizzazione dell’isola da parte delle autorità britanniche, battendo fino all’ultimo per la conservazione della tradizionale cultura latina: rimane infatti un mistero come lui, grande italofilo, non sia stato internato ed esiliato allo scoppio della seconda Guerra mondiale[10]. Di un certo interesse per l’italianistica risulta lo sparuto-ma consistente[11]- gruppo di poesie in italiano raccolte nella summenzionata pubblicazione.

Le poesie in italiano che si ricontrano in questa raccolta sono sedici (quattordici sono originali e due sono traduzioni) e si iscrivono in un arco di tempo che vanno all’incirca[12] dal 1905 fino al 1936. Come ci si aspetta da un religioso, la maggioranza tratta motivi religiosi o religiosi/encomiastici inneggianti alla Madonna e ai santi dell’Ordine carmelitano, come a Santa Maria dei Pazzi, a Santa Teresa di Gesù e a San Alberto degli Abbati. Alcuni hanno elementi bucolici, che servono però quasi sempre come sfondo a qualche riflessione di natura teologica o politica. Le poesie, che dal punto di vista formale sono tutte di stampo classico, si possono dividere in tre gruppi: primo, sonetti, un’elegia e una canzone; secondo, inni o canzoncine; terzo, traduzioni.

Fra le poesie spicca la canzone Nell’annua ricorrenza della Vergine del Carmine. Si tratta di una canzone tradizionale di sette strofe, ognuna di quindici versi con il seguente schema: AbacDcEeffgHiih. Si tratta di una canzone con stanze di endecasillabi e settenari liberamente costruiti, ma tutte aventi la struttura della prima (come enunciava il Bembo), vale a dire una canzone che s’è evoluta nel Cinque e Seicento da quella petrarchesca però lontana dalla canzone libera leopardiana. Il linguaggio è forbito, ricco inoltre di dittologie (questo superbo e misero mortale, v.5; che di dolori e di travagli è fatto, I,v.12), di termini arcaici e di latinismi (are 4,v.1). La poesia è una preghiera rivolta alla Madonna, invocata come madre che ha pietà per i suoi figli che ne hanno bisogno particolamente ora che la progenie è traviata (6, vv.4-5). Molto interessante la terza stanza in cui il poeta si lamenta che il suo secolo sia così diverso dal Medioevo: Come da’ prischi secoli diverso/ è il secolo in cui i’ nacqui!. Questa struggente nostalgia per il Medioevo era diffuso nei poeti romantici cattolici ottocenteschi, visto come l’epoca in cui le verità teologiche avevano tanta risonanza nelle arti e nella letteratura (basti menzionare la Divina Commedia) che il neoscolasticismo metteva di nuovo in rilievo proprio allora. Che Cuschieri avesse dimestichezza con scrittori cattolici romantici è testimoniato dall’accenno alle cattedrali dedicate nel Due e Trecento alla Madonna: Sacre per l’universo/sorgean le cattedrali/al tuo nome (vv3-5) innalzate per mano del possente genio dei padre (vv.9-10)[13]. Era il romantico Chateaubriand che nel suo bestseller Genie du Christianisme parla con trasporto dell’emozione che si prova stando dentro una cattedrale gotica.[14] Ed è significativo il termine “genio” che evoca lo stesso termine del titolo dell’opera del francese. Nella quarta  stanza il poeta si lamenta dell’impoverimento dell’arte (Ecco nel fango/io veggio impaludare/i cuori insieme e l’arte), risultato del ruolo subordinato della letteratura alla scienza e alla filosofia (come suggerivano gli Illuministi), su cui attirò l’attenzione il critico Snow[15] negli anni Cinquanta, e su cui è tornato recentemente a porre l’accento un critico italiano, Girardi: per questo si nota la “decadenza della civiltà occidentale”[16], di cui si lamenta appunto il poeta maltese. Cuschieri rileva pure il caos e il disordine causati dalla Riforma Protestante, chiamata bieca ira (v.5), per cui si creò la scissione all’interno della religione cristiana (scissa venne in parte la religion degli avi , vv.6-7); in uno studio sul poeta Battista Spagnoli Cuschieri stesso fa riferimento al danno provocato dalla Riforma con riferimento allo scritto dell’italiano De calamitatibus temporum[17]. Secondo me, il poeta accennerebbe pure alla perdita del prestigio e del potere temporale della Chiesa causata prima dalla Rivoluzione Francese e in seguito dall’Unità d’Italia  nel 1860 con l’espressione abbattendo are e troni (v.14), che rende deserte (v.2) le prime. Questa nostalgia per un’Europa che riconosca l’autorità del Papa si riscontra nell’elegia Ai caduti di ieri (1915) in cui il poeta è più esplicito:

Dormite, o morti. Sotto il Pontefice
                                                    di Roma, tutta, come nei secoli
                                                    di mezzo, la morta
                                                    Europa chi sogna risorta?
                                                    una di fede di cor di patria
                                                    sogno la gente nova

 Per il poeta non si tratta di un desiderio utopico perché più avanti dichiara che non sogna, e che fra la nebbia scorge la croce, mentre dilegua l’urugano. Nonostante questa posizione antistorica, occorre riconoscere che questa poesia, Ai caduti di ieri, fu composta nel 1915 quando già era scoppiata la prima Guerra mondiale e il papa Benedetto XV era rimasto neutrale, per la prima volta nella  storia della Chiesa[18], per cui questa  avrebbe riguadagnato un po’ dell’antico prestigio: allora quello che Cuschieri considerava sogno (un’Europa unita che abbracciasse i valori cristiani sotto l’egida del Papa, che era, mutatis mutandis, la tesi neoguelfa del Gioberti estesa a tutto il continente) poteva in qualche maniera apparire un’idea allettante presso la comunità cattolica. Occorre riconoscere inoltre, anche se a un livello più profondo, che i poeti italiani ottocenteschi, anche laici, che Cuschieri leggeva non escludevano la dimensione religiosa, anzi ne facevano tesoro perché è questa che “ci distingue dalle bestie”, come rileva il Pascoli nella Prefazione ai Canti di Castelvecchio[19], un  poeta così caro al maltese, che ne aveva l’antologia curata dal Pietrobono dove si può notare la firma dello stesso Cuschieri[20]. La poesia, dal tono elegiaco, consta di tredici quartine, dove i primi due versi sono endecasillabi, il terzo scenario e il quarto novenario; gli ultimi versi rimano. La scena, che  si svolge in un cimitero, ricorda da vicino Il giorno dei morti  del Pascoli. Valgano a mo’ d’esempio le quartine seconda e quarta, dove la rima voci con croci echeggia quella pascoliana dell’omonimo poemetto (Ch’io l’oda il suono della vostra voce/ora che più non romba la procella:/ io dormirò con le mie braccia in croce):

Io, io, da questo cor, voglio poveri
  morti, a voi, sotto quel gelo, l’alito
                                                      mio venga e vi porti
                                                      la pace beata dei morti...
Qui, sotto questo strano funereo
      lenzuol di neve, stanno; qui suonino
                                                       pietose le voci
                                                       o madri, tra lampade e croci.

A mio parere, sarebbe da ascriversi alla sua influenza la forte carica patriottica (italiana, naturalmente) nella poesia Stella Maris, con l’esplicita menzione di Trento e Trieste redente (si ricordi l’entusiasmo del Pascoli per la colonizzazione della Libia del 1911-12; e la conquista delle terre fuori dell’Italia, come nel poemetto Italy): e vorrebbe che i giovani italiani fossero spronati dall’aiuto soprannaturale per realizzare quest’impresa :

Ai giovani alpini chi dona
 L’ardire che sfida la morte?
                                                           Chi rende l’Italia sì forte;
Sì cara, sì dolce, sì buona?

La Nube che vide il Profeta[21]
                                                          Il Fiore che vide Simone[22]             
                                                          Ci guidi nell’aspra tenzone,
                                                          Ci scorga ver l’ultima meta.
        
                                                           O Trento, o Trieste, ecco a voi
                                                           Già vengono cantando gli eroi...

Oltre al Pascoli, si sente l’influenza del Carducci specialmente nel modo in cui Cuschieri riesce a dare vita con poche pennellate, proprio come nello stile bozzettistico del poeta della Terza Italia. Eloquenti di questo bozzettismo sono le prime due quartine della poesia Caivano, che è composta di due sonetti, di cui si riportano le prime due quartine:

Io ti vidi, Caivano. I tuoi sentieri
   lunghi fuggenti per l’erboso piano
    vidi: splendea l’estate; lungi in neri
                                                      vortici protendeasi il Vulcano.

                                                      E vidi i tuoi bifolchi umili e fieri
artefici spezzar col ferro in mano
                                                      la gleba dura: ridea ne i verzieri   
                                                      il purpureo fior del melograno.

Questo paesaggio idilliaco e tranquillo viene però messo in stretto rapporto con la forza dell’Italia, come se questa fosse la conseguenza della fierezza, della risolutezza dei suoi contadini (E cantava il cordaio. Per te giova/le funi attorcigliar, per le tue navi/ O Italia nostra, o Roma antica e nova). Su questa dignità dei contadini italiani Cuschieri poteva trovare esempi letterari e storiografici. L’umanista Battista Mantovano, che il poeta maltese conosceva bene, avendone fatto uno studio su cui s’è fatto già cenno e avendone fatto la pregevole traduzione in italiano dal latino dell’inno a S.Alberto degli Abbati[23], nelle sue Egloghe ritrae una visione realistica (e positiva) del mondo contadino, e guarda con affetto e simpatia ai personaggi descritti; inoltre Burckhardt rileva che in Italia «l’abitatore delle campagne...aveva dignità d’uomo»[24]. Questa dignità di sicuro fa da supporto al mito latino propagandato dal fascismo proprio in quegli anni. La “patria”, per Cuschieri,  è legata inoltre alla “religio”: nel secondo sonetto il poeta apprezza la fede degli abitanti di Caivano, i quali, sotto la minaccia del vulcano Vesuvio, si rifugiano nel santuario della Madonna di Campiglione, convinti che questa li aiuterà nei momenti difficili. È presumibile che il poeta vi sia stato non solo perché Caivano si trova a nord della Campania (e Cuschieri studiava nella vicina Roma) ma anche perché  il santuario dove si custodisce la famosa e miracolosa icona (che il poeta menziona nell’ultima terzina) è gestito proprio dai Carmelitani.

Mentre Caivano è una poesia che congiunge paesaggio e devozione mariana degli abitanti della cittadina campana, Alla Vergine del Carmine (1914) fa lo stesso ma questa volta con gli abitanti maltesi. Valga la pena di riportarlo per intero per poi farne i debiti commenti:

Non mai ti vidi così bella come
             ora ti vede il cor che piange e implora,
       bellezza senza uguale  senza nome,
     dolce candor ch’eterna alba colora.

  Laudata sii nel velo onde s’infiora
    oggi la patria mia che le non dome
         torri mai da selvaggia ira e le chiome
        di miel aulente al sol di luglio indora.

    Quando fulva l’estate a noi s’avvia
e pei campi del gran la melodia
                                                        delle cicale si diffonde ed erra,
                                                      
                                                        Quando al bollente dì s’infiamma e splende
                                                        Il mar nostro, di te, Madre, s’accende
                                                        Come l’estate il cor de la mia terra.

Nella descrizione della Vergine, secondo il nostro parere,  si possono cogliere espressioni del Cantico dei cantici: nella poesia la Madonna è l’alba come nel Cantico (Quae est ista quae ascendit quasi aurora consurgens, 6,10); porta il velo ed è bella come nel Cantico (4.1); l’accenno al grano è simbolico, ricalcato su quello del Cantico: Venter tuus sicut acervus tritici vallatus liliis (7,3). Il poeta tesse la bellezza di Maria con quella del paesaggio maltese, vista quest’ultima dipendente da quella della prima: Laudata sii nel velo onde s’infiora/oggi la patria mia. Fra Malta e la Madonna ci sarebbe un legame forte simile a quello fra la madre e il figlio; e tutte le creature (uomini, animali e piante) sono in una sola armonia con Lei. Quel laudate ci ricorda Il Cantico di frate sole di S. Francesco. Però il poeta avrà visto il termine anche in una delle più belle poesie di D’Annunzio, La sera fiesolana ( Laudata sii per le tue vesti aulenti). Cuschieri infatti adopera l’aggettivo dannunziano aulenti nella stessa quartina per descrivere il miel. E tutta dannunziana è la cura per l’allitterazione (di miel aulenti al sol di luglio) e all’assonanza (eterna alba colora). L’accenno alle cicale è pure di ascendenza dannunaziana che si riscontra nella Pioggia nel pineto.

La carica romantico-mistica del sonetto Alla Vergine del Carmine  si riscontra (in disugual misura però) nei tre sonetti che celebrano i santi dell’Ordine carmelitano: Maria Maddalena dei Pazzi, Elia di Tesbe e Teresa di Gesù. È vero che Il rapporto che questi santi stabiliscono con la divinità è molto intimo, quasi sensuale, però la retorica ha il sopravvento sul momento lirico (ad esempio, l’accenno al Bernini nel sonetto dedicato a Teresa di Gesù, e quello a Firenze nel sonetto alla santa fiorentina appesantiscono le due poesie con notazioni troppo particolareggiate, viziandone la carica lirica). Occorre però riconoscere che il sonetto che tratta di Maria Maddalena dei Pazzi è molto raffinato e nel motivo del suo rinchiudersi nel silenzio claustrale (silente ombra claustrale) per vivere la sua intimità con Dio (con dedizione e delicatezza sentimentale tutta femminile) fa ricordare al lettore la figura dantesca di Piccarda; come quest’ultima stava di giorno e di notte (“vegghi e dorma”) con Gesù, suo “sposo”, nella “dolce chiostra”[25], anche Teresa, infatti , vive il rapporto mistico (e sensuale al contempo) fra sé, monaca, e il Redentore, come si legge nella chiusa del sonetto: O dolci o belle/notti quando invocato con desio/forte accorreva e la baciava Iddio.

Tale lirismo non si trova nell’ultimo gruppo di canzoncine:. Si levi a Maria, Fior del Carmelo e Voce dall’alto. Queste costituiscono un gruppo a sè perché furono composte per essere musicate e cantate. Si leggano i versi della prima strofa della prima canzoncina: Si levi a Maria/un grido festoso/un pianto amoroso/sia dolce versar./Ave Ave Ave Maria. Subito ci si accorge che si tratta delle odicine metastasiane composte di brevi versi molto cantabili. In ambito religioso fu S.Alfonso Maria de Liguori il quale ne aveva sfruttato tutta la carica per le sue canzoncine, fra cui la famosa Tu scendi dalle stelle. Cuschieri n’era consapevole perché il libro devozionale di De Liguori, Le glorie di Maria, che contengono alcune di queste canzoncine, era noto in tutti gli ambienti cattolici, specie presso gli Ordini che coltivavano la devozione verso la Madonna, come appunto quello carmelitano. Cuschieri sfruttò questo tirocinio nello scrivere canzoncine in italiano per i molti inni in maltese. Sono da approfondire i legami di questi inni in maltese con quelli italiani, da cui sarebbero derivati[26].

Per quanto riguarda le traduzioni se ne hanno due: Il papavero e Inno a S. Alberto degli Abbati. La prima è la traduzione in italiano nel 1936 di una poesia in maltese intitolata Il-Pepprina di Monsignor Gauci[27]. Si tratta di un’odicina composta di quartine di settenari con il seguente schema; abab cded. La poesia originale intendeva commemorare i morti della Grande Guerra, il che spiega il titolo Il- Pepprina, un fiore associato ormai con eventi bellici. La traduzione sarebbe alquanto accademica. L’altra traduzione è dell’inno latino a S.Alberto degli Abbati di Giovan Battista Mantovano. Questo santo carmelitano siciliano era nato a Trapani nel 1250 ed era morto a Messina nel 1307, e visse in odore di santità. Il poeta italiano, lo Spagnoli, noto appunto come il Mantovano, aveva composto un bellissimo inno in latino costituito di strofe saffiche. Il poeta maltese nella traduzione in italiano conserva le stanze saffiche, nonché l’eleganza classica, la compostezza e l’ipotiposi, vale a dire il linguaggio contraddistinto da descrizioni vivaci e ricchezza di particolari: la grandezza del santo viene inserita nel paesaggio siciliano, che, a sua volta, ne viene potenziato perché fa da sfondo alla sua opera di taumaturgo. Questo inserire la nascita e la vita del santo in un dato paesaggio è una tecnica che risale a Dante (basti ricordare i canti del Paradiso, relativi a san Francesco e san Domenico); e infatti è mirabile l’osmosi che si crea fra il Lilibeo, l’Erice, la Trinacria e Messina da una parte e i miracoli del santo dall’altra. Non si ha la data di questa traduzione: molto probabilmente il poeta la tradusse quando faceva lo studio sulla sua poesia. Sapeva però che sarebbe stata apprezzata nell’ambiente carmelitano.

Da questa breve analisi delle sue poesie, alquanto esigue, in italiano, si può concludere che a distinguere i suoi prodotti poetici dall’alto carattere religioso è una forte sensibilità coniugata a una sottile perizia tecnica (attinta ai migliori poeti italiani), che egli sfruttava a seconda del soggetto che l’occasione spesso suggeriva. Per questo motivo il linguaggio può essere a volta vigoroso ed espressivo, molto eloquente, consono alla tensione morale, sull’esempio di un Nicolò Tommaseo, ma a volta languida, dai toni morbidi e sensuali, tipici del tardo romanticismo. A nostro parere, in Cuschieri sarebbero queste due costanti  (la sensibilità e la perizia tecnica) a caratterizzare anche la sua produzione poetica in maltese.




[1] Charlò Camilleri, Toni Cortis, Kitbiet Miġbura I, Poeżiji, Il-Karmelu, Malta 2013.
[2]Ibid. p.30, pp.215-8.
[3] Fra questi vedi quello  di Alfred Degabriele del 1967 e riedito in Cuschieri, Il-Poeta tal-Madonna u tal-Kelma Maltija, Lux Press, Malta 1976 (con introduzione del Prof. Gużé Aquilina) e quello di Joseph Mangion, Il-Kitbiet ta’ Joseph Mangion, Penprint Ltd, Malta 1997. Sono numerose le tesi universitarie che non sono pubblicate.
[4] Si fa riferimento a una polemica fra Anastasio Cuschieri e Bernardino Varisco. A un articolo di Varisco Bernardino, «Problemi e soluzioni», Rivista di filosofia neoscolastica, A. 7, febbraio 1915, risponde Anastasio Cuschieri, «A proposito di soluzioni e problemi», Rivista di filosofia neoscolastica, A.7, febbraio 1915. Vedi pure Oreste Ferdinando Tencajoli, Poeti maltesi d’oggi, Angelo Signorelli, Roma, 1932, pp.110-111. Vi si rileva una sua “ardente polemica”(p.111) con Benedetto Croce. Su questi scritti filosofici di Josette Attard, vedi «Leħen il-Malti» luglio 2013; qui la ringrazio per avermi gentilmente comunicato notizia della polemica fra il filosofo maltese e quello italiano (Varisco).
[5] Anastasio Cuschieri, Un poeta carmelitano in «Malta letteraria», Anno II, n.23, marzo, Malta 1906.
[6] Tencajoli in op,cit, menziona il Genio e la «Rivista Storica Carmelitana».
[7] Famoso il primo panegirico nel 1901 nella Chiesa Collegiata dell’Immacolata Concezione.Si tratta di uno studio di un famoso poeta e umanista cinquecentesco carmelitano, G.B.Spagnoli.
[8] Da ricordare I pericoli della gioventù nella sciena e letteratura moderna del 1902
[9] Discorso inaugurale intitolato La messa riparatrice nel Congresso Eucaristico Internazionale del 1913 tenuto nella Chiesa di Mosta.
[10]  Per queste vicende dolorose e traumatiche, vedi Max Farrugia, L-Internament u L-Eżilju, Pin, Malta, 2007.
[11] Testimonianza di questa validità poetica è il suo essere incluso nell’antologia del Tencajoli, insieme ai più validi poeti maltesi d’allora fra cui spicca Carmelo Psaila, il futuro poeta nazionale.,
[12] Alcune poesie non sono datate per cui i tempi sono approssimativi
[13] Per la funzione delle cattedrali, si veda Significato e funzione della cattedrale, del Giubileo e della Ripresa della Patristica dal Medioevo al Rinascimento (Atti del Convegno internazionale Chianciano Terme.Pienza 18-21 luglio,2011), a cura di Luisa Secchi Tarugi, Cesati, Firenze 2013.
[14] Francois René Chateaubriand, Il genio del cristianesimo,vol.II, trad.Luigi Toccagni, Perelli, Milano, 1846, p.120: ‘Tu non puoi metter piede in una chiesa gotica, senza provare una specie di tremito, e un cotal vago sentimento della Divinità”.
[15] Charles Percy Snow, The Two cultures and the Scientific Revolution, Cambridge University Press, New York 1959.
[16] Enzo Noè Girardi, Letteratura italiana e religione, Jaca Book, Milano 2008, p.9.
[17] Anastasio Cuschieri, Un poeta carmelitano, op.cit..
[18] Si veda Claudio Rendina, I papi, storia e segreti, Newton-Compton, Roma 2006, p.786.
[19] Pascoli scrive: “Ma la vita, senza il pensier della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico” (Prefazione di Canti di Castelvecchio).
[20] Luigi Pietrobono (a cura di), Poesie di Giovanni Pascoli, Zanichelli, Bologna, 1926.
[21] Si tratta del profeta Elia, santo dell’Ordine Carmelitano.
[22] Si tratta di san Simone Stock, un altro santo carmelitano.
[23] Cuschieri conserva le stanze saffiche; vedi Camilleri Charlò, Cortis Toni, op.cit, pp.241-245.
[24] Carl Jacob Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, vol.II, trad.di D.Valbusa,  Firenze, Sansoni, 1921, p.89.
[25] Dante Alighieri, Paradiso,III,100-1; 109.
[26] Ad esempio, su segnalazione di Alfred Degabriele sarebbe traduzione di un inno popolare italiano della Nostra Signora del Sacro Cuore quello che si suona e si canta nella festa della parrocchia della Madonna del Sacro Cuore di Sliema. (Charlò Camilleri, Toni Cortis, op.cit., p.215).
[27] In «Santa Rita», Malta, nov..1935, .